Questa settimana può essere definita la settimana orribile della nostra comunità.
In pochi giorni ci hanno lasciati un grande rugbista del passato ( Franco Gargiulo), due giovani uomini Amar Kudin e Cristian Salierno rugbisti del presente e, infine, Daniele Rinaldo.
In pochi giorni il nostro “mondo”, costruito su rapporti nati per durare per l’intera vita, si è impoverito improvvisamente, angosciato anche per le circostanze che hanno determinato la perdita di persone care a tutti per il solo fatto di essere rugbisti.
Voglio ricordare Daniele Rinaldo perché è stato un avversario in campo e poi un caro amico e un esempio nella vita.
E’ stato un buon giocatore del Petrarca Rugby, appassionato, come tutti noi, per l’intera vita del Suo sport, tanto è vero che l’ultimo giorno della sua esperienza terrena lo ha trascorso, tra tante difficoltà, assistendo ai grandi incontri internazionali che si disputano in queste settimane.
Ha lottato contro la malattia che lo ha progressivamente logorato , per 12 anni, con una tenacia e un vigore fuori dal comune, direi straordinaria.
Spiegava che se non fosse stato un rugbista non sarebbe stato in grado di lottare e reagire con coraggio al destino (o alla destinazione) che gli era stata riservata.
Non so se la sua forza interiore fosse collegata allo sport che amava (come sosteneva Lui). Credo che sia stato straordinario indipendentemente da ogni altra considerazione.
Era un uomo brillante e un “grande” professionista: un ingegnere idraulico che ha dedicato la vita alle opere marittime e lagunari. Profondo conoscitore e amante della laguna di Venezia ha speso la sua intelligenza e le sue conoscenze allo scopo di coniugare difesa idraulica e conservazione dell’ambiente, compito non sempre agevole., riscuotendo successo e apprezzamento.
Ha vissuto in prima persona le difficoltà che incontra nel quotidiano chi convive con la disabilità. Per questo aveva un grande desiderio che la comunità del rugby si impegnasse per aiutare chi è costretto a vivere in condizioni difficili, spesso impossibili da accettare.
Mi spiegava che i suoi pensieri erano inalterati anche se il fisico non era più in grado di supportarlo.
Amava gli All Blacks visceralmente (avevamo una piccola divergenza ogni volta che i “Tutti neri” affrontavano la Francia) era dispiaciuto per non essere andato a Milano ad assistere all’incontro con la nostra nazionale (quando ancora era in grado di farlo).
Per questo qualche anno dopo avevamo ipotizzato di andare assieme a Roma quando gli All Blacks tornarono nel nostro paese. Rimase un desiderio solo abbozzato; rinunciò perché la fatica fisica della trasferta avrebbe fiaccato le sue energie e la settimana successiva aveva impegni lavorativi cui non avrebbe potuto sottrarsi.
Da lì l’idea che la nostra comunità avrebbe dovuto aiutare con piccoli gesti concreti chi non è nella condizione di potersi avvalere di aiuti e supporti esterni alla famiglia: creare le condizioni per cui giovani rugbisti accompagnino i disabili agli eventi sportivi.
Il mio vuole essere un modesto appello a quanti frequentano il sito e la pagina facebook della Lazio per affrontare insieme la questione e, se possibile, dare impulso all’iniziativa che Daniele aveva pensato. Un “Aiuto da Daniele” per chi vive quotidianamente difficoltà di cui non è agevole rendersi effettivamente conto.
Si dice che i “rugbisti non muoiono passano la palla” , io penso che Daniele, ovunque sarà, continuerà a tenerla ben salda tra le mani con la stessa eccezionale forza con cui ha continuato ad attraversare la vita negli ultimi 12 anni di sofferenza perché, come amava dire, era un rugbista.
Un abbraccio ai figli Andrea e Nicolò alla moglie Teresa e al fratello Andrea.