“E’ mancato Adriano Amati da anni trasferitosi a Udine, vicino ai propri affetti familiari.

E’ stato allenatore della Lazio U. 19 alla fine degli anni 70; successivamente della Lazio Racing Club e, quindi, della Tevere Rugby. Una società, quest’ultima che ha fondato e tenuto in vita, sino alla fusione con il Cus Roma nel corso degli anni 90, vincendo i campionati di Serie C/2 e C/1 fino a disputare la serie B (all’epoca la seconda serie italiana) e che, a quell’epoca, schierava alcuni giocatori di livello nazionale, primo tra tutti Vincenzo “Vincio” Ventricelli.    

Era un uomo aspro, dotato, però, di profonda umanità.

Personalmente l’ho conosciuto prima come avversario (all’epoca non vigevano regole rigide in merito ai limiti di età per partecipare alle gare seniores) quando a 16 anni fui chiamato a giocare con la Lazio dei “grandi” e francamente il ricordo di quella partita non fu per qualche tempo tra i miei più piacevoli.

Qualche mese dopo divenne l’allenatore (unitamente al mai dimenticato Giuseppe “Peppino” Di Nunzio) allenatore della “mia” giovanile.

E’ stato per me, per i 3 anni in cui è stato alla guida dell’U. 19, un maestro di sport e un uomo che ha trasmesso i valori più nitidi del rugby di cui era un geloso custode. Si compensava con “Peppino”; lui irruento e sempre battagliero; Peppino, compassato e dallo spirito anglosassone, era un fine conoscitore del rugby, anche oltre i tempi che vivevamo e la cultura rugbistica italiana. Mi stupivo come, così diversi, fossero legati e andassero d’accordo. 

Adriano, che riconosceva e apprezzava la conoscenza di Peppino, era, però un maestro delle fasi statiche del nostro sport; ha insegnato a generazione di piloni le tecniche della mischia chiusa e mi sono trovato a sorridere qualche anno dopo che, confrontandomi con un tecnico straniero, ho avuto modo di constatare che gli insegnamenti di Adriano erano gli stessi di quello che ci era stato presentato come un “guru” della pallaovale.

Adriano è stato anche campione italiano dei pesi massimi e qualche volta ha dato dimostrazione di conoscere la noble art anche sul campo da gioco (anche con me in quel nostro incontro da avversari). Questo sempre per difendere un compagno o “lavare un onta “ da lui ritenuta insopportabile. 

Era un personaggio, e per noi giovani (soprattutto della mischia) è stato una guida. Ci ha insegnato il senso di appartenenza, la necessità di impegnarsi e di non mollare, anche se inferiori agli avversari da rispettare, soprattutto se più deboli.

Insegnamenti che valgono in ogni campo e che mi sono stati utili anche dopo e oltre il rugby.

Si dice che i rugbisti non muoiono ma passano la palla. Penso che Adriano non abbia passato la palla perché da giocatore poche volte, quando la conquistava, ha ritenuto di trasmetterla. Allora ai piloni era richiesto di “fare la mischia” e se gli capitava di avere l’ovale di avanzare il più possibile. Pochissimi erano i piloni in grado di “gestire” un pallone. Adriano ha lasciato la mischia di cui era un vero e proprio cultore.

Mancherà a tanti, a me di sicuro, ma il suo ricordo accompagnerà tutti quelli che lo hanno conosciuto per lungo tempo e sono sicuro che da dove sarà continuerà a seguire il rugby e la sua Lazio”.